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Omelia Don Carlo 22 aprile 2020

22 aprile 2020
“Il sommo sacerdote e i Sadducei erano pieni di gelosia”… nei confronti dei cristiani, perché gli portavano via la gente. Ma se un uomo è geloso ha la coda di paglia, zero autostima: teme che la sua donna trovi uno migliore di lui. Il sommo sacerdote e i sadducei sono gelosi dei cristiani perché non stimano la propria fede, come uno Stato che mette i dazi per difendere prodotti fuori mercato. Hanno una fede fuori mercato, che teme la concorrenza, perché priva di ragioni: credono per tradizione, abitudine, comodo. E sono codardi: non hanno l’audacia di abbandonare una fede triste, che non è più convincente e avvincente. Non sono i cristiani il loro problema: i cristiani sono l’evento scatenante, che smaschera il loro problema. Come dice Dante degli ignavi: “La lor cieca vita è tanto bassa che invidiosi son d’ogni altra sorte”. Hanno scelto una vita così bassa che qualunque altra gli sembra meglio. Chi verifica ogni giorno la bellezza della propria fede non è geloso di nessuno. Anzi: è felice di incontrare gente felice. I cristiani non hanno il problema della gelosia: hanno il problema di essere coscienti ed entusiasti della propria fede. Dove nasce questa fede luminosa? “Guardate a lui e sarete raggianti”… grida il salmo 33. Se avete la faccia spenta è perché non guardate Lui. Come uno, all’alba, ha la luce in faccia se guarda a oriente. Se no vede buio. Cosa rende luminosa la faccia cristiana? Non il temperamento, ma l’orientamento del cuore. Come disse un amico appena convertito: non sono meglio di ieri, ma oggi, nella mia vita c’è il sole. Il cristiano è luminoso perché guarda il sole. Per questo gli architetti romanici orientavano le chiese a Est. Gli amici veri, i libri utili, orientano lo sguardo: quelli tarocchi lo disorientano.

Omelia Don Carlo 21 aprile 2020

21 aprile 2020
“La moltitudine dei credenti aveva un cuore solo e un’anima sola”. Questa unità miracolosa è frutto della resurrezione di Cristo. Una unità così è l’esperienza più desiderata da un cuore umano, ma è una utopia: irrealizzabile. A Gerusalemme quel giorno accade. Tremila uomini sono un cuore solo, un’anima sola. Ma prima che tra loro, questa unità, ognuno se la trova dentro di sé. L’unità tra loro, è una conseguenza: un uomo diviso dentro non sarà mai unito a nessuno. E come fiorisce nel cuore quell’unità? Cosa ti fa capire e abbracciare così tutte le cose della vita? Anche quelle dolorose? Cosa ti fa gridare, in faccia all’universo intero… sei ”mio”?! Il primo uomo nella storia che vive questa unità è Gesù risorto: e dopo di lui, quelli che credono in Lui, perché sono investiti dalla potenza della sua resurrezione. Pietro quel giorno, a Gerusalemme, vede questo miracolo e lo vede anche tutta la città, come dice Luca: “tutti li ammiravano e godevano di quella bellezza”. Per la gente di Gerusalemme la bellezza che vivono i cristiani è irresistibile, accusano il colpo: godono solo a vederla negli altri. Questa è l’esperienza cristiana: questo annuncia al mondo il cristiano. Non annuncia Dio, non parla di Dio, come dice Gesù a Nicodemo: “Noi parliamo di ciò che sappiamo, testimoniamo ciò che vediamo”. Il cristiano parla di ciò che vede: non di Dio, ma della propria vita cambiata da Dio, parla dei fatti che lo mettono davanti a Dio. Chi crede la vive personalmente, questa unità miracolosa: la vive dentro di sé e nella comunità cristiana. Chi non crede, se ha un cuore leale e sincero, se ne compiace e gode, anche solo a vedere gente così contenta: con un po’ di invidia. Il cristianesimo si diffonde per questa sana invidia.

Omelia Don Carlo 20 aprile 2020

20 aprile 2020
“Se siete risorti con Cristo cercate le cose di lassù”. Primo frutto della resurrezione è che ti cambia lo sguardo, dice Paolo: adesso cerco sempre le cose di lassù. Ma “lassù”, in greco, non vuol dire “in alto”, in cielo, lontano dalla terra, distacco dalle cose materiali, pensare alle cose spirituali… No. ”τὰ ἄνω ζητεῖτε” vuol dire cercare la “profondità delle cose”, la radice, l’origine, il Creatore delle cose. Vuol dire guardare ogni cosa fino in fondo, arrivare davanti a chi la crea in quel momento. Così quella cosa si trasfigura, diventa un segno, un raggio di luce sul mistero di Dio. Tu ne sei grato e quella cosa è preziosa ai tuoi occhi. Per l’uomo di fede niente è brutto: quel che è brutto è il nostro sguardo sulle cose: brutto perché superficiale. Secondo frutto della resurrezione è la libertà, come per Pietro e Giovanni che … “Annunciavano la parola di Dio con franchezza“. Franchezza (“parresia” in greco) significa: ”liberi di dire tutto”, ”sbattere davanti alla realtà”, senza nulla aggiungere e nulla togliere, senza aggiustare niente. Alla faccia del “politicamente corretto”, del “linguaggio appropriato”… No: la libertà che Cristo porta nel mondo è la stima della realtà. Perché solo sulla realtà si costruisce. La realtà è la prima amica della fede. Terzo frutto, la pazienza, cioè la libertà dalla violenza. L’impaziente è violento, perché ha fretta di far tornare i conti, il tempo che passa è contro di lui, gli darà torto. Chi invece costruisce sulla realtà può aspettare, il tempo gli è amico, la realtà gli darà ragione. L’impazienza violenta inizia dentro di noi, è contro di noi: è quell’ansia che ci divora quando tutto ci scappa di mano e i nostri conti non tornano mai. La pace, dentro e fuori, inizia dallo sguardo del risorto.

Omelia Don Carlo 19 aprile 2020

*Omelia 19 aprile 2020*
“Dio ci rigenera con la risurrezione di Cristo”. La nostra resurrezione sarà dopo la nostra morte: la rigenerazione è subito. Paolo la chiama ”arrabòn”, caparra: anticipo della quota finale, per farci pregustare la festa che ci aspetta. Cos’è la rigenerazione? Lo suggerisce una parabola dell’ultima cena: ”Se rimanete in me come tralci nella vite porterete più frutti ”. Sarete più esuberanti di vita perché investiti dalla linfa potente che irrompe dal risorto. Prima di Cristo nel mondo ci sono i frutti della natura: bellissimi come l’amore, terribili come i virus. Bellissimi e terribili perché la natura non è Dio e non ci è data per sostituire Dio, ma far desiderare Dio: per innescare l’avventura più affascinante, la ricerca di Dio. Prima di Cristo si crede in Dio, ma Dio è nell’aldilà: e non porta frutti nuovi in questo mondo. La rigenerazione di Cristo risorto è una pienezza di vita, sconosciuta prima di Lui, ma è adesso, non nell’aldilà. I cristiani realizzano nella storia, dice Solovev, la ”divino-umanità”: una fioritura e una fecondità dell’umano, inspiegabili con l’umano. Il primo frutto che Pietro si trova addosso è la strana gioia del cristiano: “Siete ricolmi di gioia, anche se afflitti dalle prove”. Strana gioia perché convive con afflizioni e prove, come mostra la faccia del Papa in questo tempo: faccia dolente, immedesimata fino in fondo nel dolore del mondo. Ma la sua faccia e le sue parole sono piene di una certezza limpida e senza sbavature. Le due cose insieme: nel mondo sono sempre separate. Ma è disumana una gioia indifferente al dolore ed è disumano e insopportabile un dolore senza gioia. Nel cuore cristiano sono insieme. Sono come, nel corpo del risorto, le ferite toccate da Tommaso. Sono ferite, mai rimarginate finché nel mondo un uomo piange, ma ferite gloriose perché sono le ferite del vincitore.

Omelia Don Carlo 18 aprile 2020

18 aprile 2020
“Tutti glorificavano Dio per l’accaduto”. Questa è la prima definizione del cristianesimo: l’accaduto. Non un nuovo pensiero religioso, non una nuova morale, non dei nuovi riti. No: l’accaduto. Non qualcosa che devo fare io: no, l’accaduto. Una cosa fatta da un altro. Ma che ha a che fare con la mia felicità, come 2000 anni fa ebbe a che fare con la felicità di Pietro e Giovanni. Fu per loro irresistibile e incontenibile: ”Noi non possiamo tacere quello che abbiamo visto e ascoltato”. Come Gesù, non poteva tacere quello che era accaduto a Lui quando scoprì di essere il figlio prediletto di Dio. E’ stato crocefisso perché non ha potuto tacere. Neppure la morte lo mette a tacere. E adesso vive e parla attraverso Pietro, Giovanni, me e te: i suoi testimoni. Perché il peccato cristiano non è rifiutare Dio, il libro sacro o la legge di un’autorità. No: è rifiutare i testimoni dell’accaduto: “li rimproverò per la loro incredulità e durezza di cuore, perché non avevano creduto a quelli che lo avevano visto risorto”. Perché Cristo risorto è presente, esistenzialmente, nei testimoni, che non sono persone brave o capaci: “erano persone semplici e senza istruzione”. Testimone è chi riconosce l’accaduto e lo annuncia così com’è accaduto a lui: come prende la sua vita e la fa risorgere. Infatti l’accaduto stupisce per come è semplice, bello e potente. Mi è diventata insopportabile tanta artificiosità che toglie bellezza, splendore e freschezza al fatto cristiano. Ma perché bisogna sempre aggiungerci qualcosa o toglierci qualcosa? Sono così semplici, freschi, disarmanti, anche ironici, i racconti delle apparizioni del risorto: hanno la fragranza dell’autentico… come un cibo appena cucinato, che ha il gusto del “cotto e mangiato”. E chi lo gusta capisce perché il canto pasquale è l’alleluia.