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Omelia Don Carlo 27 aprile 2020

*27 aprile 2020*
“Stefano era pieno di grazia e di potenza”. L’apostolo di Cristo è un uomo pieno di grazia, cioè di una bellezza non naturale, che non deriva dal carattere, dalla morale, dal suo comportamento. Quella bellezza gli è data in un momento della vita, tanto che famigliari e amici d’infanzia non lo riconoscono più, come mi dicono a volte: ma non eri così… cosa t‘è successo? Questa bellezza dà a Stefano una nuova potenza, che non è forza fisica né forza violenta. Infatti nel Sinedrio… “non riuscivano a resistere alla sapienza e allo spirito con cui parlava”. E’ la potenza della parola, la potenza del vero che le sue parole contengono: Stefano dice cose vere e cose che lui vive. Ma non sono le sue parole che colpiscono: è la realtà, è la vita presente in quelle parole. Stefano li colpisce anche se non parla: li colpisce per il fatto che esiste, fino a quando esiste. Infatti lo devono uccidere, perché è il suo esistere che fa problema: la sua faccia umana, perché è una faccia più che umana, dice Luca… “fissando gli occhi su di lui videro il suo volto come quello d’un angelo”. L’angelo per gli ebrei è chi vede Dio in faccia e svela la faccia di Dio. Questo è il loro problema: non vogliono vedere Dio. Hanno già un loro dio, a loro misura: a loro immagine e somiglianza. Invece Stefano mostra il Dio reale, che ci ha fatti a Sua immagine e somiglianza e viene a svelarci il nostro volto vero: la grandezza e la bellezza pensata per ognuno dall’eternità. Gesù non la impone a nessuno, ma la propone a chi incontra. Gli dice: vuoi diventare te stesso? Ognuno ha la libertà di decidere il proprio volto eterno. Tremenda libertà, ma reale libertà.

Omelia Don Carlo 26 aprile 2020

*26 aprile 2020*
“Si fermarono col volto triste”. La tristezza, dice Tommaso, è il dolore per un bene assente. Come assente? E’ lì che cammina e parla con loro! Fisicamente c’è, ma è come se non ci fosse perché “…i loro occhi erano impediti a riconoscerlo”. C’è la presenza, ma non la coscienza. E’ una presenza che non cambia la vita. Quando non sentiamo Gesù presente non è Lui che manca: manca la nostra coscienza. Lui c’è sempre, è risorto, è Dio. E’ al fondo di tutto. Se guardassimo una cosa fino in fondo… saremmo inginocchiati in adorazione. Questo è il nostro problema: non andiamo in fondo alle cose, siamo fermi all’apparenza. Come i due di Emmaus: “I loro occhi erano impediti a riconoscerlo“. Cosa apre gli occhi a riconoscerlo? “Non ci ardeva il cuore nel petto?” Gli occhi si aprono, l’intelligenza buca l’apparenza e lo riconosce al fondo di ogni cosa quando arde il cuore come ai due di Emmaus. E’ un ardore inconfondibile: ne basta un istante…“subito sparì dalla loro vista ed essi partirono senza indugio…” e senza rimpianti: a quei due ormai non manca niente. Lui non è più dietro di loro, ma davanti. Lo troveranno tra gli amici dove ha promesso di restare: “quando due o tre di voi saranno insieme nel mio nome io sarò in mezzo a loro”. E’ nella comunità cristiana che Lui si fa riconoscere. Cristo risorto è oggettivamente sempre presente in ogni comunità: perché c’è il Sacramento. Ma può restare una presenza che non cambia la vita. La vita cambia quando si coglie la portata della sua presenza, quando c’è una compagnia che fa ardere il cuore, come quella di Emmaus. E’ facile scoprire dove accade oggi: perché un cuore infiammabile ce l’abbiamo tutti.

Omelia Don Carlo 25 Aprile 2020

*25 aprile 2020*
“Andate in tutto il mondo, proclamate il Vangelo a ogni creatura”. ”Pase ktisis” non è ogni persona, ma ogni ”creatura”: ogni essere creato, persone e cose. L’annuncio cristiano ha una portata cosmica: riguarda anche le cose. Noi viviamo di cose materiali e di segni. Per l’uomo le cose non solo solo cose, sono anche segno, del mistero da cui vengono. Chi le prende sul serio, come Francesco d’Assisi, ne gusta la bellezza immediata: come lui, prima dei vent’anni. Poi ne scopre l’inesorabile limite, e teorizza la povertà e il distacco dalle cose. A quarantaquattro anni ne coglie l‘immenso valore conoscitivo, scopre che “tucte le creature” lodano Dio: sono segno del Creatore. E ci sono date non per farci felici, come idoli che sostituiscono Dio: ma come strada che conduce a chi ci fa felici. Questo è lo sguardo vero: lo sguardo del creatore. ”Vide che ogni cosa era molto buona” E inventa il sabato, la festa delle creature. Dov’è oggi questo sguardo? Si chiama cultura lo sguardo sulle cose: la nostra cultura sì autodefinisce nichilismo, pensiero debole. Ha uno sguardo ristretto, un orizzonte basso, un tono senza entusiasmo, spesso lamentoso, a volte rabbioso. Gesù manda gli apostoli a riportare nel mondo lo sguardo splendido del creatore. La fede cristiana non è una fede interiore, spirituale, distaccata dalle cose e proiettata in un aldilà inafferrabile. Noi siamo mandati, come gli apostoli, ad allestire il mondo per la festa cui tutto è destinato. “Gli apostoli predicarono dappertutto: il Signore li confermava coi segni che li accompagnavano”. Con quali segni il Signore conferma il nostro annuncio? Dove rintracciamo nel mondo i preparativi per la festa? Dove intercettiamo facce di cristiani festosi! Di cosa si serve Gesù, oggi, per donarmi il suo sguardo vittorioso?

Omelia Don Carlo 24 aprile 2020

*24 aprile 2020*
“Una cosa chiedo al Signore”. Perché “una” sola? Il cuore le vuole tutte: vuole tutto. Ma il tutto non è una quantità di cose: perché una somma di cose imperfette sarà sempre imperfetta. La felicità non è la somma delle cose, ma la sintesi delle cose: il luogo dove dimorano tutte, dove dimora il Creatore, dove comprendi, abbracci e godi la bellezza di cui ognuna parla. Come grida il salmista: “questa sola cerco: abitare nella Sua casa”. Ma la Sua casa non è “l’eterno riposo nell’aldilà”: è “un luogo pieno di vita e di lavoro nell’aldiqua”. E’ la Chiesa: che non è una casa per ferie, ma il luogo dove ferve il lavoro più appassionante. Quello a cui Gamaliele sfida il Sinedrio: “Lasciamo andare questi uomini e vediamo se la loro opera verrà distrutta o se viene da Dio”. La Chiesa è il luogo dove si paragona tutto quel che c’è dentro con quel che accade fuori. Dove si paragonano idee, criteri, forme di vita, regole, riti… tutto! Dove ci sì sveglia atei al mattino per mettere in discussione le certezze di ieri e per riscoprirle nel paragone con quello che accadrà oggi. Questo non è azzerare tutto, non è ricominciare da zero: è ricominciare da Uno! Cioè imitare Dio: che ricomincia ogni giorno il mondo da “Uno”, dall’uomo nuovo, rinato dal sepolcro il mattino di Pasqua. Questo è il segreto della mia vita da una decina di anni. Non è l’unico modo per salvare la fede, ma è l’unico modo per salvare la fede come avventura, come novità permanente, freschezza, festosità: libertà! Questa fede sfida tutti: innanzitutto gli uomini religiosi, sempre tentati dal conservatorismo. Sfida gli atei e gli “ap-atei”: quelli dalla faccia “apatica”, che non bruciano più per niente e per nessuno, neppure per se stessi.

Omelia Don Carlo 23 aprile 2020

* 23 aprile 2020*
“Avete riempito Gerusalemme del vostro insegnamento”. E’ patetica l’accusa agli apostoli: ma come possono quei dodici poveracci, arrestati, bastonati, appena rilasciati… riempire la città del loro insegnamento? Cos’hanno addosso questi qua? Hanno addosso ”quell’insegnamento”, quello che gli è stato “insegnato”, “in-signatum”, ”impresso col marchio”. Come il padrone che marchia a fuoco lo schiavo, perché si ricordi a chi appartiene. Gli apostoli sono uomini ”segnati” da Cristo: sono “suoi”. Questa è la loro identità nel mondo e la loro libertà. Sono liberi perché la loro vita è “Sua”. Un cristiano diventa schiavo e schiacciato dalla paura, come tutti, se dimentica a chi appartiene. Anche Gesù ha paura nel Getsemani e sulla croce, ma la paura non lo schiaccia: non gli impedisce d’esser se stesso. Perché Gesù sa a chi appartiene: porta in faccia il ”segno” dell’appartenenza a Dio. Neppure le ferite della passione cancellano quel segno, come dice il centurione: “quest’uomo era figlio di Dio”. Gli apostoli hanno addosso il segno che li rende liberi, come dice Pietro al capo delle guardie: “noi siamo liberi perché obbediamo a Dio invece che agli uomini”… Perché noi sappiamo che faccia ha Dio: ha la faccia di Gesù, ha il cuore di Gesù. Un cuore come il nostro: pieno del bene per cui batte anche il nostro. Gesù risorto trasforma il nostro cuore, lo rende simile il suo: simile al cuore di Dio. Siamo sempre più liberi perché il nostro cuore è sempre più in armonia col cuore di Dio. Sempre più sentiamo che per noi è un unico gesto “ubbidire a Dio” e “ubbidire al cuore”. Questo ci fa liberi e ci mette in pace: ci fa dormire anche meglio la sera, dice il salmo 4: ”In pace mi corico… e subito mi addormento”… e risparmio pure qualche ansiolitico.