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Omelia Don Carlo 2 maggio 2020
*2 maggio 2020*
“Da chi andremo, Signore? Tu hai parole di vita eterna”. Cos’è la vita eterna che Pietro non vuole perdere? Pietro non lascia mai Gesù. Non lo lascia quando si sente dire: “Va’ dietro di me, Satana.” Né dopo il rinnegamento: piange amaramente… ma di andarsene non gli passa per la testa. Né quando Gesù gli chiede tre volte se lo ama: “Tu sai tutto, sai che ti amo… ma via da te… neanche morto!” La vita eterna per Pietro non è una vita nell’aldilà: è una vita più bella qui, quella promessa da Gesù quando lo chiama coi suoi amici: “Vi farò pescatori di uomini”. Potenzierò la vostra capacità di pescare, lavorare, pensare, amare, godere, immaginare… Pietro!? Io renderò più grande la tua umanità, grande come la mia! “Pasci i miei agnelli”… ti affido la mia opera, il mio compito nel mondo. Sarai capace di pescare gli uomini, di catturare i cuori: svelerai agli uomini per cosa brucia il loro cuore, di cosa hanno fame. Questo è il tuo contributo alla felicità degli uomini e al cambiamento del mondo. Il mondo, non lo cambia il virus. Il virus cambia le condizioni di vita, cambia tante cose… Ma il virus non cambia la vita perché non cambia il cuore: il virus svela quello che ognuno ha nel cuore, toglie il coperchio alla pentola. Se dentro c’è l’amore e la gioia, adesso si vede. Se c’è l’odio e la menzogna, adesso si vede. Il cuore è libero: non lo cambia neanche Dio. “Io sto alla porta e busso”, dice Dio nell’Apocalisse. Busso, domando, ma non sfondo: perché la porta del cuore si apre solo da dentro. Chi sfonda la porta del cuore, non crea la vita eterna nel mondo: crea l’inferno.
Omelia Don Carlo 1 maggio 2020
1 maggio 2020
“soggiogate la terra: pesci, uccelli, ogni essere vivente”… ogni virus! E’ lo sguardo ebraico-cristiano sulla realtà. Uno sguardo positivo, dinamico, su una realtà imperfetta, incompiuta: che deve essere compiuta dall’uomo. Uno sguardo da protagonisti, … ”Soggiogatela”: mettetegli il “giogo”, come a una bestia selvatica, trasformate la sua forza, bruta e minacciosa, in una forza preziosa. La religiosità ebraico-cristiana non è un rito appiccicato, né regole morali imposte alle cose: ma si esprime come scienza, tecnica, lavoro, arte, cultura. Le religioni tendono a ritualizzare, a moralizzare tutto: a contrapporre sacro e profano. Ma così disintegrano l’io e lacerano il nostro cuore, fatto per afferrare e abbracciare tutto. Cristo viene a sanare le ferite di questo disumano dualismo. Per questo Gesù non fa il sacerdote né il dottore della legge: è un laico, dicono i suoi compaesani: “Non è costui il figlio del falegname? Lui lavora, anche manualmente, manipola le cose per scoprirne le leggi, dominarle, usarle per le esigenze dell’uomo, renderle amiche dell’uomo. La religiosità cristiana ha una dimensione laica: realmente e integralmente umana. Con Cristo finisce l’opposizione diabolica sacro-profano: esiste solo il reale, il vero, il segno. Dio si incontra, si riconosce, si ama, si gode… attraverso la realtà. Che è tutta buona, ma tutta incompiuta: perciò è tutta un compito per l’opera dell’uomo. Per san Benedetto “ora et labora” realizzano un “opus Dei”, un “lavorare da Dio!” La fede cristiana non è un rito parallelo alla realtà: è scienza, lavoro, arte, cultura. Che respiro, che bellezza! Che sfida per tutti: religiosi e laici. Sfida per uomini veri, uomini uniti dentro di sé e fuori spalancati a tutto, come dice Terenzio: “homo sum, nihil humani a me alienum puto. “Io sono uomo e non rinuncio a niente di ciò che è umano”.
Omelia Don Carlo 29 aprile 2020
29 aprile 2020
“Nessuno conosce il Figlio se non il Padre”. Nessuno di voi mi capisce fino in fondo: c’è un punto di me che solo Dio capisce. Nessuna compagnia umana mi toglie quest’ultimo punto di solitudine: neppure gli affetti più cari, neppure voi, i miei preferiti. Questo è il punto di dolore più acuto, più irrimediabile, del cuore di Gesù e del nostro cuore. Ma è anche il punto più sacro, più esclusivo del cuore. E’ il punto dove può dimorare solo Dio: dove tutto attende Dio. Lì si diventa liberi dagli idoli: da chi pretende di occupare il posto di Dio e di sostituire Dio. Liberi come Caterina, la santa di oggi, e come tutti i santi, che sono santi solo perché ospitano Dio in quel punto del cuore. E tu glielo vedi in faccia che da quel momento non sono più soli. Quando noi ci sentiamo soli non è perché nessuno ci fa compagnia, ma perché troppa gente pretende di farci compagnia e di occupare quel posto del cuore che spetta solo a Dio. I santi non sono uomini perfetti se non nella coscienza, nel modo come dicono “io”: sono come la Madonna che si porta dentro il mistero. I santi ospitano Dio e tutti i figli di Dio, con tutte le loro croci. Ai santi Dio non toglie le croci: non li libera ”dalle” croci, ma li libera ”sulle” croci: ma quelle croci non distruggono il cuore dei santi. Come dice Gesù: “Il mio giogo è dolce“. La croce non è più strumento di morte, ma giogo: prezioso strumento di lavoro da cui fiorisce una vita nuova, più bella, più vivibile, più desiderabile. Perché è una vita intera, dove nulla si butta: è tutta per te e per la tua realizzazione. Nel mondo è impensabile.
Omelia Don Carlo 30 aprile 2020
30 aprile 2020
“Nessuno può venire a me, se non l’attira il Padre”. Chi viene a me perché attirato da me… sarà deluso da me e mi abbandonerà. La mia bellezza non viene da me: il primo deluso da Gesù è Gesù stesso. Il dramma di Gesù è che lui non basta a se stesso: la sua vita è tutta una ricerca del Padre. Nessuno lo trattiene in questa ricerca: neppure la donna più affezionata, Maddalena. ”Non mi trattenere, non sono giunto al Padre”. La bellezza di Gesù è la bellezza del Padre. Quando noi siamo delusi da Gesù è perché ci arrestiamo alla sua bellezza apparente, al segno: quando non cerchiamo il mistero della sua persona. Ci manca la radicalità: del desiderio e dello sguardo. Come all’eunuco davanti a Filippo: ”Come posso capire se nessuno mi guida? Come a Filippo e Pietro prima di Pentecoste: “Prima dello Spirito Santo loro sapevano tutto, ma non avevano capito niente”, mi disse una ragazzina di 11 anni. Conoscevano i fatti della vita di Gesù, ma non la portata di quei fatti: come uno che è davanti a uno spettacolo bellissimo… ma è buio pesto. Serve la luce per capire Gesù… ma la luce non viene da Gesù. Occorre un altro per capire Gesù. Gesù non è tutto. Tutto è il Padre. Gesù è segno del tutto: segno del Padre. Un altro deve illuminare il segno. Lo Spirito a Pentecoste illumina quei dodici uomini che volevano capire il mistero di Gesù. Nella preghiera siamo liberi di domandare le mille cose che ci piacciono, ma se non domandiamo lo Spirito non sapremo che farcene di quelle mille cose: ce ne mancherebbe il senso. Come mancava agli apostoli prima della Pentecoste. Ma a loro, per azzeccare la domanda decisiva, bastarono dieci giorni di lockdown nel Cenacolo.
Omelia Don Carlo 28 aprile 2020
28 aprile 2020
“Io sono il pane della vita”. Così ti sfida Gesù, come in un duello: ti lancia il guanto e devi schierarti, prender l’arma e combattere. Ma è un’arma non violenta: è l’arma del desiderio e della fame che hai dentro. “chi viene a me non avrà fame mai!”. Cioè, avrà fame sempre, se è un uomo vivo, non anoressico. Un uomo è vivo e bello per quanto è affamato di felicità. Ma con Gesù la fame non è più disperata: diventa una fame amica, come l’appetito, che ti fa gustare di più il pane!. Gesù è il pane per la fame del cuore, che è una fame ben più radicale di quella dello stomaco: è una fame grande come quella di Stefano… “Contemplo il cielo aperto”. Perché solo il cielo può sfamare Stefano. A Stefano non basta la terra, tutto il pane della terra e tutta la bellezza della terra. Per lui la terra è piccola: solo il cielo placa la sua fame. Gesù gli spalanca il cielo e gli mostra il pane del cielo. E la faccia di Stefano sfida la gente a schierarsi. Chi ha fame del cielo, come Stefano, festeggia con Stefano. Altri invece ”…furibondi, digrignano i denti, gridano a gran voce, si turano gli orecchi, gli si scagliano contro, lo trascinano fuori città per lapidarlo”. Stessa sfida, reazioni opposte. La differenza sta nella fame: nella felicità che ognuno cerca per la sua vita. Davanti a Gesù sei sfidato a verificare qual è il pane della vita. E il modo è uno solo: addentare quel pane. Ragionare sul pane… non farà mai capire cos’è il pane. Da duemila anni nel mondo il pane c’è: e ci sarà sempre. Quel che può mancare è una fame adeguata a quel pane: e l’audacia di addentarlo.