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Omelia Don Carlo 8 giugno 2020
*Omelia 08 giugno 2020*
“Beati, beati”.
Nelle beatitudini Gesù non dà morale, delle regole, un metodo non dice cosa fare e cosa non fare, non dice “come si fa” ma “perché si fa”, perché uno segue un metodo delle regole, ama una strada solo se ha coscienza e amore alla meta, perché di regole e di metodo si può morire se non conosci e non ami la meta.
Perché fare la strada?
Per essere beati. Μακάριος (makarios), felici, felices in latino vuol dire: fecondi, fertili. È felice un uomo che è fecondo, che genera, che dona la vita. Tutti lo sappiamo: la faccia più bella del mondo è la faccia di una donna gravida o che allatta. Tu sei felice – dice Gesù – non se sei ricco, sazio o comodo; sei felice anche se sei povero, se sei affamato o afflitto, (ma sei felice) se tu generi, se sei fecondo, se dai la vita, se dai il cuore se dai l’essere ad un altro uomo, esattamente come una madre con il feto, con il figlio.
Gesù rivoluziona l’idea di felicità. Per Lui non è negata a nessuno. Ognuno può essere felice perché ognuno può essere fecondo, perché ognuno per il fatto che esiste un cuore da dare ce l’ha.
Per il fatto che esiste un uomo è amato, ma è infelice se lui non dà se stesso, non dà la vita, se si aspetta la pienezza da qualcos’altro o da qualcun’altro, da fuori di sé. Ma il cuore nostro è immagine di quello di Dio e si riempie da dentro il cuore non da fuori, non è come un recipiente che qualcuno te lo può riempire. Non te lo riempie nessuna persona, nessuna cosa, neanche Dio ci riempie il cuore. Dio c’è per tutti, ma non riempie il cuore di nessuno. Il cuore non te lo riempie Dio, ma te lo riempie la tua imitazione di Dio. Tu sei felice se generi, se imiti Dio che è creatore e padre, e se tu riempi le persone, il cuore e le cose con la felicità che hai dentro. Se te l’aspetti dalle persone o dalle cose o da Dio, sei condannato al lamento perché sei tu che disprezzi la tua vera grandezza, il tuo vero potere. La pienezza che hai già dentro che è il potere di imitare Dio, di amare, di generare e di creare come fa Dio.
È prezioso capire dove io mi accorgo di questo, dove scopro questo potere immane che ho dentro. Se lo scopro io sono vivo, se no sono sempre condannato a come gli altri mi trattano, a quello che ho e quello che mi manca. Il virus del lamento ne ammazza molti di più del coronavirus.
Omelia Don Carlo 27 maggio 2020
Omelia 27 maggio 2020
“Io vengo a te perché abbiano in sé la pienezza della gioia”.
“Perché finché resto Io, hanno un po’ di gioia, ma non la pienezza, perché la gioia piena la vedono in Me, ma non in se stessi; la vedono nella mia esperienza, ma non nella propria”. E la gioia di un altro non è gioia tua, non dà gusto pieno a te. Non può godere un altro al posto mio. Come nell’amore, non può amare un altro al posto mio, dire un sì al posto mio. È decisivo che il “sì” lo dica io e solo io, senza delegarlo a nessuno, perché sennò perdo la pienezza della gioia.
E cos’è la pienezza della gioia?
È “che siano una sola cosa”, ognuno in se stesso, non con gli altri – cogli altri è una conseguenza. Se io dico il mio “sì” personale e totale, io divento un uomo integro. Il miracolo di un uomo tutto intero che si guarda ed è stupito di scoprire che tutto di lui vale, tutto è unito, tutto ha senso, che lui è prezioso nel mondo, che tutto di lui è prezioso. Ma per vedere questa bellezza non basta che un altro la veda in me, non basta il “sì” che un altro dice a me. Per esempio, a Giuda non basta. A Giuda non mancava l’amore di Gesù, era lì che si lasciava baciare e (Gesù) gli diceva: “Amico perché mi fai così?”. A Giuda non è mancato il “sì” di Gesù; è mancato il “sì” di Giuda a Giuda. Giuda non ha amato la propria grandezza, il proprio protagonismo, perché Giuda – e io e te – siamo stati scelti, non per fare delle opere nel mondo, ma per fare un capolavoro dentro il mondo: il capolavoro del nostro io, di un io integro, di un uomo che dice “io” come Gesù dice “io”, che porta nel mondo in sé, nella sua faccia, la coscienza di Gesù. È entusiasmante trovare un uomo così, ma è così raro, tanto raro che quando lo trovano, ce l’han davanti, gli anziani – non erano dei bambini – della comunità di Efeso, appena lo vedono in Paolo questo “io”, non li trattiene nessuno. Dice che “scoppiarono in pianto”, si gettarono al collo di Paolo – erano degli anziani, non dei bambini! – lo baciavano e non li trattiene neanche il lockdown e il distanziamento sociale.
Omelia Don Carlo 26 maggio 2020
*Omelia 26 maggio 2020*
“Padre è giunta l’ora”.
L’ora per cui ho vissuto tutte le altre ore della mia vita, perché io le ore, le cose le vivo, non le subisco. Tante circostanze ci sono date, alcune ci sono imposte violentemente, come a Gesù la croce, come a noi il virus. Ma io – dice Gesù – scelgo io come viverle. Mi impongono le cose, ma decido io se viverle con amore o con odio. Io sono protagonista delle cose che faccio, non sono in balia, né degli altri, né delle circostanze esterne, neppure delle mie reazioni istintive. Come io le vivo dipende dallo scopo che io ho e che io amo, per cui io faccio tutto, perché è questo scopo che rende così unita, suggestiva, potente, incisiva la mia vita. La rende piena il mio scopo. Quando voi la sentite vuota la vostra non è perché manca uno scopo, ma ne avete troppi di scopi, ma son tutti parziali. E nessuno unisce la vita. L’unità non è una somma di cose, ma fiorisce da uno scopo totale.
Qual è lo scopo totale che unisce la vita e la persona di Gesù? Appunto: “È giunta l’ora e glorifica il figlio tuo perché il figlio glorifichi te”.
Cioè svela tutta la mia bellezza, perché il mondo vedendo la mia, veda la tua. Perché la mia bellezza coincide con la tua. Io ho vissuto ogni ora della vita per annunciare al mondo questo impensabile matrimonio tra la gloria di Dio e la gloria dell’uomo; per dire che la volontà di Dio coincide con la felicità dell’uomo. Dio vuole che io sia felice, realizzato, che sia io a dire cosa mi fa felice e cosa mi realizza. Non c’è nessun Dio che me lo può dire. Ché noi non siamo più condannati a scegliere tra la sua volontà e la nostra felicità.
Io sono venuto – dice Gesù – per liberare il mondo da questo diabolico sospetto che avvelena anche le religioni: tutte conoscono la paura e il timore di Dio; che intristisce anche tanti cristiani. Mi intristisce, senti che dicono il Padre nostro e alla terza esclamazione – sia fatta la tua volontà – hanno un velo di tristezza, rimane loro una unica smorfia in faccia, si vede benissimo che temono che la volontà di Dio non coincida con la loro realizzazione umana. Temono che esista un Dio che impone loro qualche cosa che è contro la loro felicità.
Non è che sono cristiani cattivi, sono ignoranti! Cioè manca loro, del cristianesimo, l’essenziale! Questo sospetto t’ammazza dentro, perché ti rende come un dente devitalizzato: ti rende incapace di sfida, a chi ti vede passa la voglia di incontrarti.
Omelia Don Carlo 25 maggio 2020
*Omelia 25 maggio 2020*
“Voi vi disperderete, mi lascerete solo”.
Mi tradirete voi, i preferiti, su cui ho scommesso tutto. Se mi tradite voi, chiunque può tradire. Nessun uomo è affidabile, come dice anche brutalmente la Bibbia: “Maledetto l’uomo che confida nell’uomo”. La compagnia all’uomo non gli può venire da un altro uomo. Quando noi siamo delusi dall’amicizia è perché prima ci siamo illusi di trovare uomini affidabili. La Bibbia non dà tregua: “Benedetto l’uomo che confida nel Signore”. La compagnia a un uomo gliela fa solo Dio. È per questo che Gesù è libero anche davanti al tradimento degli amici preferiti.
“Ma io non sono solo perché il Padre è con me”. Il vostro tradimento non mi toglie la compagnia del Padre. Ma come fa ad essere così certo della compagnia di Dio? Come faranno gli apostoli a diventare certi della compagnia di Dio.
Loro finora hanno pensato: “restando con Te”. Gesù non la pensa uguale e dice subito: “No! È bene per voi che io me ne vada”. Voi sarete certi non attaccandovi a me, ma distaccandovi da me, cioè il contrario del virus che si sviluppa per contatto o per contagio. Mentre la certezza della fede si sviluppa per distacco o per distanziamento. È paradossale: non è bene che continuiate a star con me. Dopo tre anni siete ancora lì e non siete ancora certi di niente, non mi posso ancora fidare.
È paradossale, con la logica sembra l’opposto, ma di fatto è successo così quella volta. E succede così, perché nel distacco – se tu hai un briciolo di fede – nel distacco, quella fede diventa cosciente, diventa tua, ti rendi conto che ce l’hai e sei più certo. Se dentro hai un dubbio, anche solo un briciolo di dubbio, nel distacco si sviluppa il dubbio, diventi dubbioso. Perché il distacco è una prova πειρασμός (peirasmós), cioè un esame, nell’esame tu verifichi cosa sai e cosa vali. Ne diventi cosciente.
Omelia Don Carlo 24 maggio 2020
*Omelia 24 maggio 2020*
“Uomini di Galilea, perché state a guardare il cielo?”
Questi angeli non ne hanno molta idea della terra. Guardiamo il cielo per la stessa ragione per cui Gesù è salito al cielo, ha bruciato tutta la vita per il cielo, perché un cuore umano cosciente sente che la terra non gli basta!
Gesù ha bramato tanto il cielo che non l’ha trattenuto neppure l’amore di Maddalena, è stato perentorio nel (dirle) “Noli me tangere”: “non mi trattenere, non sono ancora giunto al Padre”.
Immagino il dialogo tra gli undici e i due angeli vestiti di bianco: “Ma per noi, tre anni fa, incontrare Gesù ci ha cambiato lo sguardo sulla terra, abbiam cominciato a guardare la terra coi Suoi occhi e la terra ci è scoppiata tra le mani“. Perché la terra – il dramma della terra – è che non basta a se stessa. Davanti agli occhi di Gesù, tutto ciò che vedi sulla terra grida al cielo e come direbbe Montale – mi pare in “Ossi di seppia” – porta scritto “più in là, più in là!”.
Tutto ciò che uno vede sulla terra è segno del cielo, ti innesca dentro un desiderio più grande della terra: il desiderio del Creatore della terra. “E da quel giorno abbiamo capito, guardando Gesù e guardando la terra come la guardava Gesù, che la terra è amabile, vivibile, entusiasmante solo come segno del cielo, come strada al cielo”. Perché quando la terra ci diventa insopportabile, invivibile è perché noi l’abbiamo riempita di cose, ma svuotata di segni: le cose non son più segno di niente, perciò non hanno più senso, perché sono i segni del cielo che rendono amabile, godibile la terra, cioè i segni di Cristo risorto. Perché il cielo non è più sopra la terra, distante dalla terra; in tutte le religioni sì, ma, dopo l’incarnazione, il cielo è la forma della terra, è la sua profondità, la sua bellezza misteriosa. Sono questi segni del cielo, sulla terra – cioè le cose della terra trasfigurate dal cielo – sono quelli che hanno lanciato gli apostoli dopo l’Ascensione su quel monte, che non sappiamo quale sia, della Galilea, dove li ha lasciati.
Sono i segni che hanno lanciato gli apostoli, (che hanno) “innescato” e lanciato tutti i santi della storia, che hanno “innescato” anche la mia fede e la vostra: i segni che hanno fatto fiorire l’amicizia miracolosa che c’è tra di noi, mascherati o smascherati.
Ogni volta che ci penso, che vi guardo, io dico che il miracolo dei miracoli, nella mia vita, è l’amicizia che c’è nella Chiesa perché mette insieme persone impossibili, tanto sono diverse e – come si dice? – non si armonizzano naturalmente tra di loro. È questa diversità che impone il miracolo: per il fatto stesso che c’è, è un miracolo, un miracolo che ci rende liberi di stare insieme. Pensavo qualche tempo fa (che) io ho conosciuto direttamente gli ultimi sei Papi, e quei sei lì se uno li mette insieme, come diceva Di Pietro, (si chiede:) “Che ci azzecca uno con l’altro?!”. Eppure sono protagonisti del più grande rinnovamento, della più grande riforma – appena iniziata – che la Chiesa cattolica ha realizzato nel mondo. Ragazzi, cambierà tutto, già sta cambiando la forma, anche della cosa più sacra che sono i Sacramenti, anche perché nella storia della Chiesa non hanno mai avuto la stessa forma i sacramenti, la cosa più variata è quella e questa cosa che è successa comincia a far scricchiolare tutto, non si può più vivere nelle forme di vita precedenti, ma è esattamente questa diversità che impone il miracolo. Le mascherine e i guanti non ci impediscono di vedere il miracolo che noi siamo per il fatto che siamo insieme. È questo che ci rende liberi di essere uniti, a tutta prova, senza dover essere, in nessun modo, uguali. Perché senza i segni del cielo non ha respiro nessun affetto sulla terra, può diventare anche un carcere. L’altro giorno un giornalista, in una battuta in un talk show, disse che le convivenze forzate della pandemia stan producendo più divorzi che gravidanze, perché convivere insieme per 2-3 mesi fa venir fuori quel che c’è: o c’è, tra quelle persone, un segno del cielo, sennò prima l’asfissia, poi la nevrosi e poi gli sconquassi che conosciamo. Domandiamo la grazia di poter guardare, da oggi, la terra con lo sguardo del cielo. L’avventura di Dante fu questa: quando capì che, per capir bene cos’era la terra, doveva andarla a vedere dal cielo.