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Omelia Don Carlo 14 giugno 2020

Omelia, 14 giugno 2020

”Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna”.

Non c’è linguaggio più sconvolgente, truculento, cannibalesco di questo. Terremota, fa impazzire i giudei che lo ascoltano; dice, infatti, che “discutevano aspramente fra di loro e dicevano: «Come può Costui darci la Sua carne da mangiare?»” Perché loro hanno il problema del come si può, come può fare. Ma che problema è? Sarà un problema Suo come fare! Il mio problema non è come fa Lui, ma se mi dà o non mi dà la vita eterna, se cambia o no la mia vita, se seguendo Lui io realizzo e compio me stesso. Il metodo per capirlo non è chiedere a Lui l’altra via come fa. Ma Lui rincara la dose: “Se non mangiate, non capite”. Quindi, il metodo è fare per capire. Il metodo è provare per credere. Se Gesù dice: “Io sono il pane vivo, chi mangia questo pane ha la vita eterna”, io, per capire, ho un metodo solo per capire che cos’è il pane: il metodo è mangiarlo, addentarlo e gustarlo e avere sufficientemente appetito e fame per addentarlo. Le considerazioni sul metodo, fan perdere tempo, sono fuorvianti.

L’Eucarestia è la festa di oggi. C’è qualcuno che mi può spiegare come farà Cristo ad essere presente in un pezzo di pane e in un goccio di vino? A me non l’ha mai spiegato nessuno in duemila anni. La teoria del come accade non la so, ma sono duemila anni che i cristiani “premono” perché vogliono l’Eucarestia perché di questo Pane ne abbiamo bisogno. Noi non sappiamo come accade, ma sappiamo che accade, perché vediamo che l’Eucarestia ci cambia la vita e ne abbiamo bisogno per vivere.

Chi ce lo fa fare a venire qua a “premere”? I cristiani se li privi dell’Eucarestia – lo abbiamo ben visto durante la pandemia – si arrabbiano con il governo che non te lo concede e si arrabbiano con i Vescovi che cedono al governo. Non è successo così? Quindi, il problema non è capire come può fare Lui per essere presente in un pezzo di pane, sono problemi Suoi. Io ho bisogno di sapere che cosa l’Eucarestia cambia nella mia vita. Non come fa, ma che frutti porta, che cambiamento porta. Perché noi vogliamo l’Eucarestia, che cambiamento ha portato in noi? Che cos’è questa vita eterna promessa da Cristo?

“Se mangiate questo Pane, sperimenterete l’eternità in questo mondo. Io sono il cibo della vita eterna”. Non dopo, l’eternità comincia adesso, è la novità che comincia adesso: una vita eterna, α-ιόνιο (a-ionio) in greco vuol dire sfasata, che rompe le fasi della vita, che non è più legata all’infanzia, alla giovinezza, all’adolescenza, all’adulto e all’anziano, no! Le cinque fasi sono insieme: da quando incomincia Cristo ti porti dietro la freschezza del bambino, l’impeto dell’adolescente, la tensione ideale che dovrebbe avere il giovane, la capacità dell’adulto che genera e che crea e l’intelligenza del vecchio che non lo freghi più, perché avendo capito che cos’è l’essenziale è più entusiasta di tutti! Nel cristiano anziano ci sono tutte queste cinque fasi; si chiama vita eterna, la vita che è sfasata, la vita che va oltre lo spazio e il tempo, ché il tempo e lo spazio non lo imprigionano più.
C’è o non c’è questa vita eterna? Che cos’è questa vita eterna? Che cosa cambia avere questo brivido dentro? Noi dobbiamo capire questo, sennò ragazzi facciamo come i giudei e come i farisei, come tutti i fondamentalisti: affoghiamo nelle preoccupazioni di metodo, nel sapere come si fa, devo sempre sapere come, se è lecito e se non è lecito, dove sta scritto e gli devi citare quale autorità dice questo.
Ragazzi, di metodo si può anche morire, di regole si può anche morire! Quello che fa respirare non è il metodo, ma il contenuto, è la realtà che fa respirare. Questo è il segreto da capire del Corpus Domini.
Che cosa vuol dire che Dio ha un corpus, che Dio si toglie la maschera, che Dio si concede al touch? Che cosa cambia nella vita quando Dio assume una faccia di carne, si smaschera come noi? Questo è il segreto del cristiano. Tutto quello che serve a questo va bene, ma il problema è che questo accada, non come accade, tanto il come – le forme, le regole, il metodo – li dobbiamo cambiare tutti; lo avete capito, ragazzi, che ci vuole un altro Concilio che riformi la vita della Chiesa. Le forme di prima son finite, ma anche nella vita sociale è così! La prima virtù cristiana – adesso non lo posso dire sennò poi qualcuno mi registra – stavo per dire che non è la fede, ma è la fantasia, ma è meglio dire che il primo frutto della fede è la fantasia, cioè la creatività. Essendo noi immagine di un Creatore che si è inventato il mondo, dovremo anche noi crearne un altro dove possa dimorare Lui.

Omelia Don Carlo 12 giugno 2020

Omelia 12 giugno 2020

“Io cerco Te, Signore”.

Grida il salmista: “Mostraci il Tuo volto”: non mi bastan le Tue cose, quelle infiammano perché sono segni. Io non vivo di cose, ma di segni, come grida anche lo zelante profeta Elia che chiede i segni della potenza di Dio: un vento che spacca le rocce, un terremoto, un fuoco, perché Elia capisce solo i segni di potenza e violenza. Elia ha una fede senza volto, diffusa e difesa con la violenza.
La Bibbia racconta l’episodio in cui lui sfida quattrocento profeti di Baal, poi siccome perdono la sfida, li fa sgozzare tutti davanti a lui. Il Dio di Elia è un Dio che fa paura, Elia ha un tono sprezzante, che ferisce, fa arrabbiare, fa piangere la gente, fa scappare la gente, tanto che la regina di Gezabele lo fa inseguire – per farlo uccidere – fino al Carmelo.
Elia ha una grande chiarezza di pensiero, è forte del suo pensiero, ma è un pensiero senza grandezza e senza amore: vuole mettere la gente dentro gli schemi, le formule e i modi che ha in testa lui. E Dio gli risponde, ma non nei segni che lui voleva. Dio – dice – “non è nel vento, non è nel terremoto, non è nel fuoco”, perché Dio non è un violento e, quando si rivela, Elia si vergogna, dice letteralmente: “Al sussurro di una brezza leggera, Elia si coprí il volto”. Si vergogna, capisce che ha fallito perché Dio è nel segno discreto di una brezza leggera, di una tenerezza, ché Elia è pieno di zelo, ma incapace di tenerezza. E Dio lo sostituisce, non va bene, non Lo rappresenta, non Lo rende presente. È il comando drammatico: “Tu ungerai Elisèo come un altro profeta al tuo posto”. Elisèo è un allevatore, un campagnolo, un uomo…Non è perfetto, anche lui avrà degli scatti, però certamente riduce la violenza di Elia. Ma non sarà neppure Elisèo, né tutti i profeti ebraici, a svelare la tenerezza di Dio.
“Avete inteso che fu detto, ma Io vi dico” – dice ancora il Vangelo – “la tenerezza verso tutto, anche uno sguardo può ferire e distruggere, nel tuo cuore, una donna”, dice Gesù. Ti devi cavare gli occhi se non c’è tenerezza nel tuo sguardo. È solo il volto di Gesù o il volto dei Suoi discepoli e il volto dei santi cristiani a svelare, come dice Giovanni, che Dio è ἀγάπη (agàpe) – amore – o, (come dice) Paolo, χαρις (charis). Il volto di Gesù intenerisce i cuori, invece che spaventarli. Non ferisce neanche i nemici e così li fa rinascere, li rende amabili, li rende come Lui: segno della tenerezza di Dio. Troppi, in questo mondo, credono in Dio, ne parlano a lungo, ma quanti parlando di Dio, annunciando Dio, fanno sentire la Sua vera natura? Amore e tenerezza. La verità senza amore è diabolica.

Omelia Don Carlo 11 giugno 2020

Omelia 11 giugno 2020

“Riservatemi Barnaba e Saulo per l’opera cui li ho chiamati”.

Barnaba e Saulo vengono scelti e destinati all’opera di Gesù. Da quel giorno, cambia l’orizzonte della loro vita. Dice “Ἀφορίσατε”: (aphorìsate) spalancante l’orizzonte, spalancatevi all’orizzonte di Gesù. Quale? Quale orizzonte ha Gesù in tutto quello che fa? Che bellezza richiama, che lo spinge ad agire? Barnaba e Saulo non ce l’hanno chiaro prima, ma lo intuiscono ad Antiochia, tanto che più lo vedono e più non vorrebbero andare via.
“Ci rimasero un anno intero ed istruirono molta gente”, cioè svelavano quello che lì stava accadendo, di cui la gente non aveva neanche coscienza.

“Lì ad Antiochia” – dice Luca – “per la prima volta, i discepoli furono chiamati cristiani”. Perché non sapevano come chiamarli altrimenti, tanto erano diversi da loro e impossibili da gestire, non avevano niente in comune se non l’incontro con Cristo e il sì netto e totale che ognuno diceva. Quando discutevano di particolari secondari si scontravano, sempre. Ma appena uno diceva Cristo, questi, di schianto, si abbracciavano, erano una cosa sola: ecco la novità. Non erano mai stati così prima né in Palestina, né in Siria, né nelle altre città della Galazia, sarebbe successo sempre così in modo esclusivo, sempre in Galazia un po’ dopo. Ma lì, ad Antiochia, si rendono conto che c’è una comunità in cui c’è posto per tutti, senza condizioni. Lì nessuno deve dimostrare niente per starci, ci sta con la sua umanità, senza nulla aggiungere e nulla togliere. Lì ognuno ha il gusto di dire io: “qui ci posso stare esattamente come sono”. Ad Antiochia non si lacerano i rapporti e gli affetti per dei particolari; si discute, sì, ma non si lacera mai, perché quel che unisce è più di quel che divide. Ad Antiochia non c’è la diabolica guerra dei modi, lì si respira perché tutti sono fissi sul contenuto. Ἀφορίσατε: spalancati all’orizzonte di Cristo, sono così uniti e coscienti dell’essenziale che sono liberissimi di viverlo in tutti i modi che gli pare.

Omelia Don Carlo 7 giugno 2020

Omelia 07 giugno 2020*

“Abbiate gli stessi sentimenti”.

Come si fa a cambiare i sentimenti? Il sentimento è una reazione, non è un’azione; vien da fuori, non vien da dentro. Come la sbandata del vento sull’automobile: è una reazione dell’automobile al vento. L’azione è la mia sterzata sul volante. Io non posso comandare il vento. Posso agire con il pensiero che non voglio andare a sbattere. Io non decido i miei sentimenti, decido i miei atteggiamenti, la mia posizione. Infatti Paolo dice τοῦτο ⸀φρονεῖτε “pensate allo stesso fatto”, non “abbiate lo stesso sentimento”. Cioè conoscete il fatto che vi è accaduto. La fede non è un sentire, ma un conoscere. Il sentimento coglie i particolari, la ragione coglie il totale. Per questo il sentimento non mi cambia mai veramente l’esperienza, ce ne è sempre bisogno di nuovi, ti bombardano. Ti cambia la superficie, cambia appunto la psicologia, come una spazzolata sui capelli: ti cambia la pettinatura, non cambia la persona. Ci vuol altro, la fede non è una spazzolata di sentimenti! È la ragione che ti cambia dentro, perché ti cambia il pensiero, cambia la concezione di te. “Concezione” è concepimento, ti concepisci in un modo nuovo. Un nuovo concepimento è una nuova persona che nasce nel mondo. La ragione fa rinascere, vieni come “ripartorito” da te stesso, da quello che ti accade. È per questo che il primo frutto della fede non è che sono più bravo, mi sento meglio, (ma) è “siate gioiosi” χαίρετε dice Paolo, non dice “sentitevi bene”, ma siate gioiosi. Non cambia il sentire, se uno è depresso è depresso lo stesso anche con la fede. Cambia l’essere! Appunto perché il sentire coglie i particolari, la ragione coglie l’essenziale. Ed è solo l’essenziale che riempie di gioia. Quando noi ci sentiamo sempre mancanti è perché restiamo alla psicologia, non andiamo alla concezione dell’io, della realtà, che la fede porta e che i tedeschi chiamano _weltanschauung_o Weltbild . Un nuovo modo di concepire la realtà e il mondo, welt, mondo. È per questo che il frutto più esplosivo, più imprevedibile, più inimmaginabile è della fede.
Dice ancora Paolo: “Tendete alla perfezione”. Perché la fede rende gioiosi, più gioiosi, ma non più soddisfatti, anzi il contrario. Ti rende ben più mancante, fa ben capire che esigenza hai e cosa ti manca. Ti fa sentire così mancante davanti a Dio, ti senti così mancante, che capisci che vivere è tendere al compimento. Infatti Mosè che viene citato nel libro dell’Esodo dice a Dio, dopo che l’ha incontrato, dice: “la grazia è che il Signore cammina con noi”. La Tua grazia non è che ci hai resi perfetti, lui è balbuziente e lo sarà ancora, gli Ebrei sono Ebrei con i loro difetti che in Egitto esplodono a mille, si vede tutti i difetti insopportabili che hanno, ma la grazia non è che… Nel deserto non va bene niente, nel deserto è tutto imperfetto, eccetto una cosa: l’unica cosa perfetta in quei quarant’anni nel deserto è il compagno di cammino, che Dio cammina con loro. E questo basta e ne avanza.
Cristo ribalta l’idea di felicità, non è più “star bene” – how are you?, come stai? – non sopporto… Non è “star bene”, ma camminare bene, andare bene, tendere bene. Ho trovato una volta uno studioso di neuro-pischiatria, un francese, un certo Diez, una frase che mi ha fulminato, dice: “È il ristagno della personalità l’inizio di ogni nevrosi”. La nevrosi è star male dentro, un logorio che quasi ti logora l’intimo, l’umano. Un tarlo, il tarlo dell’io, è sempre il ristagno della personalità. La personalità è come l’acqua che viene giù dal ghiacciaio, comincia a sgocciolare e finché si sbatte sulle rocce e sui sassi è sempre fresca; quando si stufa di sbattersi, è troppa fatica rompersi sempre il muso contro le rocce, contro la durezza della realtà, cede alla tentazione di imbucarsi, di ristagnare, accetta di marcire in una buca. È acuta come osservazione. Veramente con Cristo il mondo si dibatte, veramente nasce un uomo nuovo che fa saltare i gangheri a quello vecchio.

Omelia Don Carlo 9 giugno 2020

*Omelia 09 giugno 2020*

“Voi siete la luce del mondo”.

(Dice Gesù:) “Non voi dovete essere. Lo siete non per ciò che fate, ma per ciò che vi è accaduto. Avete incontrate Me, avete vissuto con Me, condiviso la Mia esperienza, vi siete immedesimato in Me. Senza di Me, voi non vi concepite più. E si vede in faccia splendere la stessa luce che splende sulla Mia faccia. Non siete certamente più bravi degli altri che non mi hanno incontrato, ma voi siete la luce del mondo”.
Come la resistenza della lampadina: passa la corrente e, di fatto, diventano luce. E quando arrivate voi le cose si illuminano, si chiariscono; le cose belle si vede che son belle, le brutte brutte. Ogni cosa viene come denudata, mostra la sua natura, il suo scopo, perciò diventa vivibile: o è una cosa amara o è una cosa da combattere. Ecco, che cosa vuol dire che Gesù è la luce del mondo e che noi Lo rendiamo presente: non cambia il mondo la luce, non cambia le cose, le rende vivibili. Non ha eliminato i virus Gesù, ma con Gesù i virus non impediscono di vivere pienamente la vita. Non non ha eliminato le croci, ma ha reso vivibile anche la croce dei romani. Chi lo riconosce, chi crede in Lui, può realizzare se stesso su qualunque croce; perché Lui non ci libera dalle croci, ma sulle croci. Quindi noi abbiamo un unico compito, che non è diventare più bravi. Dice alla fine questo Vangelo: “Risplenda dunque la vostra luce davanti agli uomini”. L’unico compito nostro è di risplendere, è lo splendore del nostro volto, perché l’unica opera convincente è il volto. E il volto risplende per la coscienza che uno ha di sé, non risplende perché ti fai macchiare il trucco. Allora è importante sapere dove si illumina la mia coscienza, cosa mi fa risplendere la faccia. Ma anche cosa mi manda in confusione.