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Omelia Don Carlo 31 luglio 2020
*Omelia, 31 luglio 2020*
“Era per loro motivo di scandalo”.
Li scandalizza ma erano intrappolati, ma non da Gesù, la trappola ce l’avevano in testa, Lui era l’esca che la faceva scattare. La trappola è ciò che loro già sanno di Gesù, da cui non escono: “È il figlio del falegname”, “La madre, i fratelli e le sorelle stan qui da noi”, “Sappiamo la professione, la parentela, che altro c’è da sapere?”. C’è da sapere che (cosa) Gesù ha dentro di sé, che coscienza ha di sé. La cosa più miracolosa di Gesù non è ciò che fa, i miracoli, è la concezione che Lui ha di se stesso e della vita. È miracolosa perché abbraccia tutto, nessun uomo dice “io” in quel modo. Gesù c’è da incontrarlo, da entrargli dentro al cuore, da aprirlo proprio. Ecco, a Nazareth sono intrappolati, scandalizzati da Lui, da una conoscenza superficiale. Come quei cristiani che riducono Gesù in formule già imparate, hanno un gergo, un linguaggio che citano di continuo come i codici a barre o come quei quadrettini neri con i punti bianchi che sono una cosa indecifrabile. La fede ce l’hanno ma una fede fredda, come il “Findus”, il surgelato che è incommestibile. Perché loro Gesù lo citano ma non lo incontrano in quel momento, e non te lo fanno incontrare.
Cos’è che può spalancare il cuore, aprirlo all’incontro? Non c’è un algoritmo, un _touch_, non c’è una tecnica: il cuore si apre solo per amore. Se tu lo corteggi con la bellezza, ma quella vera non quella tarocca. La bellezza vera è la bellezza di oggi, quella di ieri per quanto fosse bella è sempre tarocca. Come si dice in Romagna: la bellezza è come la minestra che riscaldata non è buona. La bellezza vera è quella che mi riconquista questa mattina. Ecco a Nazareth non potè fare i prodigi perché c’era troppa muffa, dominava il passato, mancava il palpito del presente.
Omelia Don Carlo 30 luglio 2020
*Omelia, 30 luglio 2020*
“Come argilla in mano al vasaio, voi siete nelle Mie mani”.
Così Geremia, immedesimandosi, immagina il rapporto tra Dio e il Suo popolo: gli Ebrei come un vaso di creta che continuamente si rompe. I loro tradimenti mandano in frantumi ogni volta l’alleanza con Dio e continuamente Dio, come un vasaio, gli ridà forma, sempre una forma nuova, con la stessa creta che ha fatto i cocci. E offre di nuovo la Sua alleanza al popolo, perché quello è il Suo popolo preferito e Lui come un innamorato lo risceglie di continuo. Ce l’ha nel cuore e non Lo ferma niente se non la libertà del popolo stesso. Perché chi ti ama ti vuole libero, non gli interessa un’adesione non libera. Il popolo non può evitare di essere preferito, ma può sterilizzare la preferenza, può impedirne i frutti non nel mondo ma in sé, nel popolo stesso. Come accadde con Gesù: i frutti Gesù li ha portati ma non nel popolo di Israele, ma ai pagani, come accade a Nazareth la Sua città, dove ha vissuto con i primi a cui ha offerto la Sua preferenza, non poté fare dice Matteo: “Nessun miracolo a motivo della loro incredulità”. Come nella storia mia: c’è una storia che mi grida che io sono il preferito, ma ogni mattina io devo riscoprire la bellezza d’essere preferito, per scongiurare il tarlo terribile e logorante dell’abitudine o l’odiosità presuntuosa del privilegiato. Per questo che ormai da una ventina d’anni ho deciso ogni mattina di risvegliarmi ateo, per riscoprire di nuovo tutto.
Omelia Don Carlo 29 luglio 2020
*Omelia, 29 luglio 2020*
“Marta tu ti affanni e ti agiti per molte cose”.
In questo ti logori, non perché fai cose sbagliate o perché ne fai tante, ma perché Maria non ne fa meno di te e non si logora?
“Maria ha scelto la parte migliore che non le sarà tolta”. Tu, invece, ti fissi su cose secondarie che ti saranno tolte, come “cose temporanee” c’è scritto là fuori sull’erba che si sta inaridendo perché, appunto, è temporanea, effimera.
Ecco, Marta è così: si sta inaridendo dentro e si incattivisce, sta perdendo la sua bellezza affettiva perchè il cuore di Marta è fatto bene, è per quello che la mette a disagio, perché è fatto per l’eterno, non per il temporaneo, per l’effimero.
Quando noi diventiamo come Marta, cioè senza pace, ci spegniamo, ci logoriamo, appunto, è perché il nostro scopo è uno scopo temporaneo, effimero, non abbiamo più come scopo l’eterno. Ma la grandezza del cristianesimo è che l’eterno non è un’altra cosa che fa voltare le spalle al temporaneo, è diventato la profondità del temporaneo.
Non c’è da sfuggire il temporaneo, ma da amarne il fondo. Quando noi siamo agitati, affannati, logorati, come Marta, è perché siamo semplicemente dei superficiali, abbiamo una fede che si appiccica alle cose dall’esterno, come una citazione che “gliela metti su”. Invece, la fede di Maria scava le cose fino in fondo, le guarda, le ama e le tratta per quello che ognuna è in se stessa. E le cose, se le guardi al fondo, sono un alimento, non un logoramento del cuore.
Omelia Don Carlo 28 luglio 2020
*Omelia, 28 luglio 2020*
“La mietitura è la fine del mondo”.
La mietitura θερισμὸς (therismos) non è la distruzione del raccolto, è il raccolto, è il portare a casa il risultato della fatica. La fine del mondo, dice συντέλεια αἰῶνός (synteleia aiōnos) è il compiersi del mondo, è il compiersi del tempo, dove ciò che nel tempo inizia raggiunge il suo fine, non la sua fine. La fine del mondo è la realizzazione di tutto, non la distruzione di tutto, alla faccia di ogni medievalismo apocalittico. Il mondo finisce quando si compie non quando è distrutto. È assurdo pensare che tutta la bellezza del mondo esista per il nulla, lo può pensare una mente malata, Gesù pensa il contrario: per Lui noi non siamo destinati al nulla ma al compimento. Nello sguardo di Gesù tutta la bellezza del mondo è opera di Dio. E per Lui, Dio – come dice anche una canzone – “non incomincia se non per terminare”. È per questo che negli occhi di Gesù, guardate come guarda le cose e le persone, tutto è amabile. E per Lui il primo amabile sono io. Io ai Suoi occhi non sono sbagliato, sono incompiuto non sbagliato. E Lui è venuto per annunciarmi il compimento per anticiparmi la certezza della fine, per rendermi certo del mio compimento. Per darmi lo sguardo definitivo su di me. Questa è la fede: è guardare le cose adesso con la certezza del compimento, e dopo l’incontro con Cristo ogni istante del tempo mi è dato per questo scopo, per verificare la fede. Tutto il resto è uno strumento, una condizione, ma lo scopo del tempo è di verificare lo sguardo di Cristo, se a vivere le cose con questo sguardo sono veramente belle, sono veramente se stesse e preziose. È la realtà che deve dire se Gesù ha ragione o ha torto. La fede cristiana non è una fiducia cieca da accettare supinamente, delle parole, delle norme da appiccicare violentemente o ottusamente sulle cose. Ogni istante mi è dato per verificare se Gesù ha ragione o se ha torto. Ma per me non per fare un piacere a Lui, perché sono io che di tutto posso fare a meno, ma di amare no, di amare me stesso no, io non posso amare fino in fondo niente, tanto meno me stesso, se non sono certo del mio compimento.
Omelia Don Carlo 27 luglio 2020
*Omelia, 27 luglio 2020*
“Il regno dei cieli è simile al livieto che fa lievitare la pasta”.
Cioè ne fa un cibo gustoso. La pasta non lievitata è immangiabile, ma anche il lievito se non lo impasti fa schifo. A che serve? Il cibo gustoso nasce dal matrimonio tra il lievito e la pasta, come la novità di Cristo nel mondo: nasce dal matrimonio tra la fede e la realtà. La realtà senza fede è la pasta non lievitata, non ha gusto. Quando il mondo non ci piace, ci fa schifo, è colpa nostra: manca la fede. Quello che manca al mondo è stato dato ai cristiani. Ma è vero anche il contrario: la realtà senza la fede è una pasta non lievitata, ma anche la fede che non si impasta con la realtà non dà gusto.
Quando la vita non ci piace è che non la viviamo con la fede, quello che manca al mondo è stato dato a noi cristiani. Ma anche la fede perde la sua bellezza quando diventa parallela alla realtà. Sembra paradossale, ma è la realtà che salva la fede, non viceversa. Il dramma della vita non è perdere la fede, ma perdere la realtà; non è perdere la risposta, è perdere la domanda. Se tu perdi la fede, ma salvi la realtà, la realtà ti farà tornare alla fede. La realtà è la prima amica della fede, guai proteggere la fede dalla realtà e dal mondo. Se invece perdiamo la realtà, magari per un po’ salviamo la fede, ma la fede è un po’ in scadenza, come la scritta là fuori che l’assessore all’arredamento urbano ci ha scritto: “Son temporaneo, sono in scadenza”. Terribile dirlo dopo il virus. Ecco, ma quando noi perdiamo la realtà, la nostra fede è temporanea.