Omelia Don Carlo 9 aprile 2020


9 aprile 2020

“Giovedì santo, memoria dell’eucarestia: sacramento della presenza reale”. Prima di quella sera i sacramenti nel mondo non c’erano: c’erano i segni, non i sacramenti. Il segno è una cosa che ne indica un’altra, misteriosa, lontana. Tutte le religioni riconoscono i segni del mistero, ma è ignoto: e l’ignoto fa paura e toglie libertà. Gesù trasforma il segno in sacramento perché dà un volto all’ignoto, il suo volto: “chi vede me vede il Padre”. Lo rende vicino, familiare: lo chiama Abbà, papà. Cosa cambia la rivelazione di Gesù, il passaggio dal sacramento al segno? Cosa accade negli occhi e nei sentimenti degli apostoli quella sera, davanti al pane e al vino che Gesù trasforma in sacramento? Che novità fiorisce in te quando vivi l’esperienza dei sacramenti? Cosa ti manca in questi giorni che ti mancano i sacramenti? Gesù quella sera non spiega nulla, ma è perentorio… “Fate questo in memoria di me”. Non ripetete un rito, ma realizzate il gesto umano che abbiamo vissuto questa sera, con l’intensità e la coscienza che avete visto in me. E’ la mia coscienza che ha trasformato pane e vino in sacramento, che può trasformare il mondo in sacramento: soprattutto può trasformare voi in sacramento. Come dice Paolo: “voi siete il corpo di Cristo!” La vostra umanità, se è cosciente, è il corpo vivente di Cristo: un corpo da cui trapela una miracolosa unità: “Che siano perfetti nell’unità”… ma non l’unità tra le persone: l’unità di ogni persona in se stessa. Tu guardi un cristiano cosciente e lo vedi tutto unito, così unito dentro, che di lui non c’è niente da buttare, neppure i suoi peccati. Quell’uomo è così non perché non ha peccati, ma perché i suoi peccati non lo scandalizzano: sono anch’essi incastonati nella miracolosa unità della sua coscienza e della sua faccia.