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Omelia Don Carlo 14 marzo 2020

Omelia, 14 marzo 2020
“Costui accoglie i peccatori e mangia con loro”. Ma cosa ci trova Gesù di positivo nei peccatori? Cos’ha in comune con i peccatori? I peccatori sono persone che cercano la stessa felicità che cerca lui, ma per una strada sbagliata. Come un pilota che ha digitato nel navigatore la meta giusta, ma poi sbaglia strada e dentro sente la voce che lo corregge: si prega tornare indietro. Il navigatore è il cuore del figlio prodigo che in mezzo ai maiali gli fa dire: ”Tornerò da mio padre, ho peccato…”. Non ho trovato al felicità che cercavo. Perché il peccato è un di meno rispetto alle tue aspettative. Peccato si dice in greco “amartia”: defectus, difetto, mancanza… meno di quello che cercavi. Gesù cerca questi peccatori e li aiuta i peccatori a sentire la voce del navigatore. Per questi è pronta la festa: perché hanno la meta giusta, la felicità totale. E quando scoprono di aver sbagliato strada si convertono: cambiano strada. Ma chi non partecipa alla festa è il fratello del figlio prodigo: perché lui la felicità totale non l’ha mai cercata, lui si è accontentato di molto meno… “Non mi hai mai dato un capretto per festeggiare con gli amici”. E’ un meschino: il suo massimo desiderio era un capretto. Un meschino non si può convertire cambiando strada: si converte solo se cambia meta, se dilata il desiderio, se cambia il modo di pensare a se stesso e di trattare se stesso. Se smette di reprimere il suo cuore e inizia a cercare suo bene vero e totale. Lui non parteciperà alla festa, sarà infelice, non perché gli manca l’amore del Padre e degli altri: ma perché gli manca il suo amore a se stesso. L’incontro con Cristo non è un giudizio sulle nostre debolezze e sui nostri errori: è un giudizio sulla meschinità dei nostri obiettivi. Io sono la via, ha detto Gesù: la via è desiderabile per chi vuole camminare, attraversare questo mondo, cercare il Creatore del mondo. Ma la strada non interessa a chi in questo mondo ci si vuole solo sistemare.

Omelia Don Carlo 13 marzo 2020

Omelia, 13 marzo 2020

“Piantò una vigna e la diede in affitto a dei contadini”. La mia vita è una vigna da coltivare perché porti frutto: è un compito, non un bene di consumo, che si getta quando non serve più. Di me nulla è da gettare: tutto è prezioso, anche ciò che non mi piace. Tutto è per il compito che ho nel mondo. Quale compito? Cosa devo fare io nell’universo? “La pietra scartata dai costruttori è diventata pietra d’angolo”. Il mio compito è cercare la pietra d’angolo, quella che sostiene tutta la costruzione. Il mondo è una immensa costruzione in cui io sono protagonista. Tutto è prezioso in questa costruzione, ma la cosa più preziosa, essenziale, è la pietra d’angolo. E’ l’ultima pietra dell’arco a volta, con sezione triangolare, che sostiene tutto il carico e impedisce che tutto crolli. I costruttori del mondo, oggi come duemila anni fa, scartano la pietra d’angolo: costruiscono senza Gesù. Ma senza Gesù non sta su niente. Il mondo nessuno l’ha mai messo a posto: nessuna cultura, nessuna civiltà regge senza la pietra d’angolo. Noi cristiani siamo chiamati a costruire sulla pietra d’angolo, mettendola a fondamento di ogni costruzione: di ogni rapporto, ogni affetto, ogni famiglia, ogni azienda, ogni politica… Tutti possono fare tutto nella costruzione, possono sistemare tutte le altre pietre, ma la pietra d’angolo no: quella è affidata a chi l’ha incontrata, ai cristiani. ”I cristiani hanno nel mondo un posto che non è loro lecito disertare”, dice un pagano del 160 DC: se nel mondo manca l’opera dei cristiani non sta su niente. Tutto di me è prezioso per questo compito: anche ciò che di me non mi piace. Questa costruzione è l’unico scopo in cui nulla di me è da buttare. Se in me domina il senso di inutilità, mi sento brutto o sbagliato, è perché ho smarrito il mio compito. La battaglia contro il virus la devono combattere tutti nel mondo: ma cosa cambia combatterla avendo Cristo come pietra d’angolo?

Omelia Don Carlo 12 marzo 2020

Omelia, 12 marzo 2020
“Maledetto l’uomo che confida nell’uomo”. Ma non è maledetto da Dio. Dio non maledice nessuno: è Padre. Da dove viene la maledizione? Dal fatto che l’uomo confida nell’uomo, si aspetta la felicità da una creatura, cui chiede ciò che solo Dio può dargli. Quella creatura diventa per lui un idolo: che lo delude prima o poi. La maledizione non viene da Dio, ma viene dalla meschinità del nostro desiderio: non perché desideriamo troppo, ma perché desideriamo troppo poco. Chiediamo solo le cose che una creatura ci può dare, ci fissiamo su quelle. Così non vediamo più la realtà intera, dove c’è tanto di più: c’è un male più grande di ciò che noi temiamo, c’è un bene più grande di ciò che noi desideriamo. La realtà è una foresta di segni contraddittori. E in questa foresta ci sono, da duemila anni, i segni di una vita nuova, che irrompe nel mondo dalla resurrezione di Cristo: la nostra storia è piena dei segni della vittoria di Cristo risorto, la storia del mondo non sarebbe quella che è se noi togliessimo i frutti della resurrezione di Cristo. Ma noi non vediamo questi segni se siamo fissati solo sulle nostre meschine attese. Diventiamo, dice acutamente il salmo ”come un tamerisco nella steppa: non vedrà venire il bene”. Il bene nel mondo c’è, ma il meschino non lo vede perché è come il tamerisco: un albero della steppa, con foglie aghiformi, con una minima superficie di esposizione, per non inaridirsi al sole. Ma così non si espone neanche all’umidità: resta una pianta striminzita, rachitica. Così il cuore del meschino è striminzito: per non esporsi alle delusioni non si espone più alla speranza: non vede più i segni dell’eterno dentro il tempo. I nemici di Cristo non sono i grandi peccatori, ma i meschini: quelli che hanno desideri piccoli, così piccoli da poterli affidare ad un uomo.

Omelia Don Carlo 11 marzo 2020

Omelia, 11 marzo 2020.

“Gesù disse ai dodici: noi saliamo a Gerusalemme”.
Perché a Gerusalemme si rivela Dio. Solo lì. E’ la fede giudaica: Dio si rivela in quella terra, su quel monte, in quel tempio, a quella razza, al popolo eletto. E basta. Non si rivela a un altro popolo, in un’altra terra, su un altro monte. Quel tempo e quello spazio sono sacri, tutto il resto è profano. Dio si rende presente solo lì. E Gesù senza Dio non può vivere: come tutti i profeti, che sono gli uomini segnati da Dio. Un profeta non può morire fuori da Gerusalemme. Per Gesù è impensabile evitare Gerusalemme. Gesù deve andare a Gerusalemme, costi quel che costi, costasse anche la croce. E Dio si rivelerà a Gesù sulla croce. Il male per Gesù non è la croce romana: è una vita senza Dio. Il virus è un male naturale di cui tutti in questi giorni abbiamo paura, ma per un cristiano consapevole c’è un male più grande: una vita vuota di Dio. Ma che gratitudine a Gesù risorto che ci ha liberati dal materialismo della fede giudaica: il rapporto con Dio per noi cristiani non è più legato a niente di oggettivo: né terra, né razza, né tempio, né riti… Come dice Gesù alla Samaritana: “Verrà un tempo, ed è questo, in cui i veri adoratori non adoreranno Dio né a Gerusalemme né sul monte Garizim, ma adoreranno Dio in spirito e verità”. Cioè nel cuore. In questi giorni d’isolamento siamo sfidati a raccogliere questa sfida: per adorare Dio noi cristiani non abbiamo bisogno di nessun segno esterno, neppure del sacramento. Ci serve solo il nostro cuore che grida: Vieni! Che sfida! E che libertà, quella cristiana!

Omelia Don Carlo 10 marzo 2020

Anche per i prossimi giorni sarà impossible per me la celebrazione della Messa con i fedeli e di conseguenza sarà impossibile la trascrizione e l’invio dell’omelia. Ma ho deciso di rispondere a varie richieste di scrivere e inviare un pensiero quotidiano sui testi della liturgia che aiuti a vivere questo momento delicato e drammatico, in attesa di poter riprendere presto anche la celebrazione della Messa con i fedeli.

Omelia 10 marzo 2020
“uno solo è il Padre, quello celeste, uno solo la vostra Guida, il Cristo”
Come è evidente anche in questi giorni che non abbiamo padri e guide adeguati sulla terra: neppure adeguati a gestire un virus, i crolli della finanza e della borsa o i trasporti. I nostri capi sono persone serie, fanno il possibile: non l’impossibile. Ma è evidente che nessuno ha il potere di tranquillizzare… Il mondo è in ginocchio e trema: si vede in faccia alla gente cosa è diventato evidente a tutti… che tutti dipendiamo. E’ un pensiero strano, normalmente un pensiero rimosso. Tutti abbiamo dentro una domanda: ma da cosa dipendiamo? Da chi dipendiamo? Questo virus ha il potere di porre la domanda, ma non il potere di dare la risposta. Le limitazioni cui siamo costretti in questi giorni, l’inattività, la solitudine, le separazioni… sono occasioni preziose per cercare la risposta, per verificare che novità porta Cristo dentro questo dramma. Cristo non uccide i virus né ci offre formule per gestire la finanza e l’economia o il clima… ma che novità mette nel cuore di chi lo riconosce? La mia vita non è mai cambiata per i drammi che ho dovuto vivere, ma io sono rinato quando ho capito chi è Gesù.